26.ma Maratona Dles Dolomites
Le dolomiti sono da sempre un paesaggio da cartolina, e per me che ho cominciato a conoscerle pedalando hanno sempre rappresentato un incrocio di fatica e bellezza piu’ che una sfida da vincere. Pedalare tra queste montagne significa ricalcare un pezzo della storia del nostro ciclismo, ma anche sapersi caricare della bellezza che ti circonda quando semplicente ti giri e ti guardi intorno.
Ma veniamo alla gara: qui si parte presto, alle 6.30, e la sveglia è di quelle da far paura: 4.15 tutti in piedi per fare una colazione che, visto l’orario, sembra un appendice della cena del giorno prima. Alla mattina si è tutti in silenzio, si scruta il cielo e si cerca di capire se fara’ freddo ( almeno all’inizio ) oppure no; quest’anno ci va di lusso perchè i 12 gradi in partenza di fatto raddoppiano le temperature quasi invernali degli anni passati, e forse quest’anno nella discesa del Pordoi, che affronteremo dopo circa 1 ora, non congeleremo del tutto. Parto in seconda griglia, frutto dei buoni tempi delle ultime due edizioni. Il gap tra lo start ed il mio passaggio è di circa 3 minuti, ma l’ultimo a partire attacchera’ il pedalino dopo quasi 40 minuti dallo sparo: sì , perchè a fronte di circa 25mila richieste, siamo comunque in 9200 a pedalare tra queste vette. La prima salita la affronto con calma e supero un mito del cliclismo quale è Maria Canins, mamma volante delle 2 ruote italiche, con Giri d’Italia e tante vittorie ( con in mezzo una felice gravidanza ) fatte tra gli anni 80 e 90. Alla fine della prima discesa, poco prima di attaccare il mitico Pordoi, passo un altrio mito del ciclismo: Miguel Indurain, che qui sta pedalando con moglie e figlio nell’attesa che la Spagna ci dia un’euro-delusione che per sempre ricondurrò a questa giornata. Altro tornante, altro campione: Roland Fischnaller, snowbordista pluricampione italiano con simpatia da vendere. Passo Sella: altro mito, il canoista olimpionico Antonio Rossi, un po’ pesante per la salita ma un discesista che invidio. Alla fine si piazzera’ 18mo assoluto nel percorso corto, segno che comunque è uno che ci da dentro. Finito il percorso corto risalgo sul passo Campolongo, trampolino che ci portera’, attraverso la provinciale per Belluno, allo spietato passo Giau, che da sempre è la salita che piu’ temiamo ( 9,9 km al 9,5% di pendenza media). Su questi tornanti, dove ormai non parla piu’ nessuno, la fatica si fa sentire, ma la bellezza delle montagne ti aiuta a scollinare con un po’ di adrenalina in piu’. L’ultima fatica è il passo Falzarego, teatro di un’impresa di Fausto Coppi: la mia personale impresa è, terminata la salita, fermarsi al ristoro e bere 5 bicchieri di Coca Cola tutti d’un fiato, con i crampi pronti a morsicarmi i polpacci. Poi via in discesa verso l’arrivo e, a 5 km dallo striscione, un ragazzo che mi passa a fianco mi segnala una maglia che ho gia’ visto circa 120 km fa…Indurain !!!!
Allora cerco di trattenere i crampi e di non perdere la ruota di Miguelon, che nonostante gli anni ( ed i chili ) passati, sui tratti di falsopiano assomiglia piu’ ad una Lambretta che ad un essere umano. Quando penso di averlo perso lui si pianta e cosi’ lo passo a 500 metri dall’arrivo, finendogli davanti di circa 100 metri ma con un tempo migliore di quasi 3 minuti. Certo, il suo primo pezzo con moglie e figlio l’avra’ di sicuro rallentato, ma tra cinquant’anni, quando – classifica alla mano – raccontero’ a figli e nipoti di aver battuto Indurain, questi dettagli non appariranno e faro’ la mia bella figura ad ogni pranzo di Natale.
Chiudo con qualche pensiero un po’ meno ciclistico che queste montagne mi tirano fuori: le Dolomiti sono da sempre state una passione anche per papa’, e quando lui è mancato – ormai 2 anni fa – furono lo stimolo , 15 giorni dopo, per capire che la vita continuava e oggi come allora ho la sensazione che i miei occhi siano anche i suoi lungo questi 138 km e oltre 4.000 metri di dislivello, e forse oggi piu’ che mai mi rendo conto che quanto io ho visto valicando i passi oltre quota 2.000 l’abbia visto anche lui con me.
E da ultimo un dettaglio: in ogni uscita e in ogni gara cerco un particolare, un’immagine , qualcosa insomma, da portare a casa come foto mentale della giornata; sulle dolomiti le immagini si sprecano, ma il dettaglio che ho portato con me è la mano sinistra del ciclista che in griglia era da parte a me: una fede al dito. Il pensiero è corso al 2013, quando anche io portero’ su queste amate strade qualcosa di piu’ di un desiderio ed una data futura. E chissa’ mai che un giorno tocchi anche a me aspettare moglie e figlio sui primi tornanti del Pordoi….