Maratona di Padova

Immagine 1Passato il Santo passata la festa… verrebbe da dirmi, anche se Padova era “solo!” 2 domeniche fa. Più volte mi sono chiesta se proseguire questo mio articolo e a volte dicevo “ormai è passato il Santo”, altre volte mi chiedevo a chi potrebbe interessare la lettura di quella che non è certo un ultra-impresa o la vittoria del personale da decantare. Le mie sono le imprese di chi sta nelle retrovie, di chi parte da dietro, di chi non una tecnica di corsa efficace, di chi si vede sfrecciare i più davanti e cerca solo di arrivare alla fine con passo buono e denti stretti. Sono quella che corre le tapasciate anche durante una preparazione maratona, quella che corre per piacere e per sentire ancora una volta i vicini di avventura parlare di come ogni volta ci facciamo convincere da noi stessi di correre una 42 km… ebbene ecco le righe di questo viaggio, che arrivano anche a voi dopo che in molti (Paolo, Gabriele, Claudio, Teo…e molti altri) mi avete chiesto com’è andata!

Queste righe nascono dal viaggio di ritorno dalla maratona, sfruttando la “corsa” del treno per non dimenticare questi giorni fantastici, prima di ritornare alla vita normale. Il tempo fugge ed ogni minuto diventa essenziale…come in maratona! Quella di Padova è la mia 5^corsa da 42 Km e per quanto le altre sembrino già tante, non sono mai abbastanza. Il tempo corre ogni giorno e a volte è difficile rendersi conto di quanto sacrificio ci sia dietro una preparazione per una lunga distanza. 4 ore e 06 minuti, questo è il mio tempo (4h05’ di real time) guadagnato e portato a casa con tanto sudore e fatica. Certo è ben lontano dai tempi di Agostino o dei nostri maratoneti 5 cascinini e dei più, ma il fatto è che a correre sono più gli uomini e chi ha più “gamba” va ben più veloce di me. Sembra scontato a volte pensare che basta poco ottenere il risultato che si vuole, ma per la maratona ci vuol ben di più. Quando mi allenavo in questi mesi mi rendevo conto di come occorreva programmare ogni uscita con molta attenzione, incastrando gli impegni di lavoro e di casa, sfruttando le previsioni meteo per avere l’uscita migliore. Ogni allenamento è stato pensato, cercato, voluto e quando subentravano gli imprevisti come freddo o neve, tenere la “velocità” di crociera da tabella era davvero dura, ma non per questo mollavo. Avevo fatto un pronostico al nostro presidente Guzzino sul fatto che avrei fatto un tempo tra le 4 ore e le 4 e 15, nonostante la mia ambizione fosse quella di stare sotto le 4, ed il fatto di aver “indovinato” mi fa pensare che sto imparando a conoscermi. Di questa maratona potrei parlare di come la macchina organizzativa sia stata perfetta, come perfetto era il tracciato per fare il personale e benchè non abbia avuto questa soddisfazione, mi rimane qualcosa di più. Da donna per la prima volta mi sono ritrovata a pensare che questa preparazione è stata un gioco di equilibri sottili talmente difficili da ripetere che, considerando i tanti altri progetti che vorrei realizzare, questa sarebbe stata una delle poche maratone su cui puntare per avere qualche soddisfazione in più.

La maratona di Padova per me è partita molti chilometri prima, quando nel silenzio dei miei allenamenti mi pensavo già in corsa con i pace maker, quando alle colleghe dicevo che uscivo in pausa pranzo per allenarmi e già loro mi davano per dispersa; per non parlare poi del sabato all’expo di Milano quando invidiavo Agostino che l’indomani avrebbe portato a termine i primi 42 di questo mese! Strepita tanto il cuore nei preparativi, quando il tempo è volato e vorresti rallentare, strepita quando arrivi a Padova e la prima cosa che guardi sono le scarpe della gente per cercare altri podisti diretti all’expo e strepita quando tra le mie mani stringo il mio pacco gara, non tanto per il ricco contenuto ma per il significato: anche io domani ci sarò, una delle poche donne, non proprio “top” ma sempre in rosa! E se questa è stata la prima maratona in cui ho pensato all’importanza di ogni momento è stata anche la prima volta in cui non ero tesa. La mia premura era tutta nell’attaccare il pettorale alla maglietta, non solo per mettere in evidenza la provenienza 5 cascine ma perché volevo che quel nastrino nero, in ricordo di Boston, fosse ben legato stretto per portarlo fino alla fine. Forse la stanchezza delle settimane preparatorie o forse perché Padova è grande nel suo piccolo e mi sembrava di essere a casa, ho dormito bene tutta notte. Forse perché pensavo in fondo di correre più per passione e di godere di ogni kilometro pensando di tenere la testa alta, rifacendomi di Honolulu quando dalla fatica non riuscivo a guardare avanti.

Alla partenza è stato tutto più intimo e familiare rispetto alle altre maratone, non solo per la nostra consona tappa al bar, ma più aver cercato tutti rifugio sotto i portici, ritrovandoci gomito a gomito con gli altri podisti, scambiandoci integratori, creme scaldanti canforate, sacchetti da spazzatura per proteggerci e scambiando quattro chiacchere mentre la pioggia scende e scende inesorabilmente. Uno dei fotografi ufficiali mi ha scattato una foto ma credo che non mi si riconoscerà dato che ero coperta dalla tasta ai piedi di celofan. Quando ci siamo disposti in griglia una runner più “veterana” di me porta i segni della stanchezza e già dice che sarà l’ultima maratona perché da donna è difficile tener fede agli impegni familiari correndo…ed è proprio così…ogni tanto ci penso anche io ma poi Agostino mi incoraggia dicendo che un domani correremo una maratona a testa, così nessuno dei due dovrà rinunciare.

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Il minuto di silenzio fa pensare ai nostri compagni di Boston e nell’aria si sente qualcuno che singhiozza, qualcuno che sospira e c’è chi guarda il cielo e chi scuote il capo…poi l’inno d’Italia apre le danze. Io ho preferito partire davanti ai pace delle 4 ore perché mi sarei demotivata al vederli sfrecciare e dopo il passaggio sotto le telecamere sentivo che le gambe andavano da sole. Le battute iniziali sono molto simili alle altre occasioni e sdrammatizzando su ciò che ci aspetta si cerca il proprio passo. Intravedo pochi metri avanti a me un podista con il giubbino arancione che sa tanto di “podismo e cazzeggio” e mi avvicino per fare un po’ di strada insieme. Non mi ero sbagliata e dopo essermi complimentata per l’aranciaolona scambiamo due chiacchiere sugli obiettivi di tempo e tiriamo nel gruppo anche altri podisti. Mi sembrava di essere una “pace maker”, incitavo per strada gli altri dicendo: abbiamo faticato per arrivare fin qui e non possiamo mollare. Qualcuno risponde: “ la scorsa maratona dicevo che sarebbe stata l’ultima e invece ancora qui”…già perché come si fa a resistere alla tentazione di correre un’altra volta una 42? È sfida, coraggio, testardaggine, scommessa, brivido.. tanti i motivi…ma l’importante è che sia anche un divertimento. Franco di “podismo e cazzaggio” ha corso con me fino poco dopo la mezza e per tanti chilometri il suo garmin era l’unico che funzionava, dato che il mio era andato in tilt per la pioggia che proprio non dava tregua. Poi a poco a poco si è staccato ed io sono andata avanti, incontrando un’altra podista che teneva il mio ritmo, con la differenza che di anni in più di me ne aveva, come anche i chilometri sulle gambe. Quando passavamo ai ristori con gli alpini o con un po’ di pubblico eravamo come mosche nel latte ed i complimenti a noi donne per fortuna non mancavano. Al 24 km mi prendono i pace delle 4 ore e li ho tenuti fino al 30 km, soffrendo un po’ soprattutto per il vento che mi faceva sentire quanto fosse bagnata la mia maglietta e la fame che arrivava. Per fortuna il nuovo pantaloncino 5 cascine è dotato di una taschina posteriore capiente e da lì ogni tanto estraevo quei gel che sembravano più buoni di una lasagna. Al trentesimo il vento contrario mi mette in crisi e mi sorpassa una coppia che assomigliava molto a me ed Agostino alle Hawaii: lui che fa da pace a lei, che le dice di correre al fianco e di teneri il passo. Riesco a ingannare un po’ i dolori che si fanno sentire, guardando chi si ferma ed io che mi ostino ad andare avanti puntando al 35° km perchè sapevo che si girava alla volta del centro di Padova. Un alpino mi propina zollette di zucchero italiane, biscotti, banane e integratori…sembrava la sagra del diabete…riprendo un po’ di energie e si riparte e non importava se il mio ritmo era sceso perché l’obiettivo era arrivare fino in fondo ed evitare di fermarmi a bordo strada cercando un passaggio in autostop. Nel mio procedere costante sentivo qualcuno che in dialetto veneto diceva: ”ci attachemo?”. Ero sicura che non potevo tagliare il traguardo sotto le 4 ore ma puntavo ad arrivare per le 4 e 09! Al 39° il cavalcavia di rito ci voleva, ma questa volta ad attendere ogni podista alla discesa c’era il gruppo di pace maker già arrivati che scampanavano e incitavano come non mai per dare la carica allo sprint finale. Forse si erano resi conto che nel percorso c’era davvero poco pubblico e così si sono messi loro a fare il casino dei 42 km, a far sentire quanto chiasso possono fare le gambe ed i cuori dei runners. Il passaggio sotto il ponte di mani dei pace, così alti, così bravi nel sfoggiare il loro passo alato mi fa solo sognare di poter essere un giorno un po’ come loro. E così cerco di riprendere la mia media al kilometro e di affrontare fieramente quegli ultimi 2 kilometri di lastricato, dove manca l’applauso del pubblico carente, forse per la pioggia, ma non manca lo spirito che ho conservato lungo tutta quella strada. Scorgo Prato della Valle e cerco gli occhi di Agostino che diceva di aspettarmi a 500 mt dall’arrivo. Pensavo non ci fosse e invece a pochi passi dall’arrivo eccolo pronto ad incitarmi. Arrivo come promesso poco prima delle 4 e 09…come dicevo a tanti conoscenti dopo Boston, in quel passaggio ci potevo essere anche io considerando i miei tempi….

Vedo arrivare dopo di me quella coppia che tanto assomigliava a noi ed ironia del caso tagliano il traguardo con lo stesso tempo che abbiamo fatto ad Honolulu…cerco poi i compagni che lungo la strada avevo incontrato ma arrivano in pochi..solo alla sera ho scoperto che Franco si è ritirato e allora mi vien da pensare che non tutti ce la fanno ad arrivare e allora va bene così, anche senza personale.

Tornati a casa non ci siamo fermati, avevamo già deciso di partecipare alla tapasciata di Robbiate: la marcia in rosa, contro la violenza sulle donne. Avevo proposto questo appuntamento ad Agostino molto tempo fa, quando ho raccolto il volantino in un’altra tapasciata. Lui era scettico e sosteneva che 18 km a pochi giorni dalla maratona sarebbero stati molti…ma poi ci siamo svegliati e siamo partiti in direzione Bergamo. credo sia stata una giornata indimenticabile: Agostino che mi detta il ritmo e mi fa da lepre non abbandonandomi mai, tante magliette rosa lungo l’Adda, tanta aria fresca, un bel sole splendente e 18 km da correre contro l’ignobile violenza sulle donne. E per non finire proprio proprio a Robbiate ho maturato l’idea che i miei sogni notturni di correre un’altra maratona potevano realizzarsi ancora…Allora perché non sfruttare Trieste al 5 maggio???

Dedico ancora queste righe alla donna di casa che mi ha cresciuta e mi ha dato la vita: adesso mamma puoi indossare le scarpette rosa che abbiamo comprato insieme…e la maratonina del Rugareto ti aspetta!

Grazie a tutti!

Serena

Maratona di Padova
Maratona di PadovaMag 3, 2013Photos: 3
 

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